Malattie del lavoro in fabbrica
Tra il 1760 e il 1880 il mondo industriale subisce un’enorme svolta.
Nuove macchine permisero di velocizzare il lavoro: il telaio meccanico, la macchina a vapore, la ferrovia e l’energia elettrica. Queste e altre importanti innovazioni modificarono anche il sistema sociale dell’epoca introducendo una nuova classe sociale: gli operai.
Nacquero nuovi quartieri residenziali operai non lontano dalle fabbriche.
Se da un lato l’insediamento di nuovi quartieri portò alla creazione di reti fognarie e le innovazioni in campo medico ottennero grandi risultati in questo periodo, si assistette contemporaneamente al un peggioramento delle condizioni ambientali. La combustione del carbone, necessaria per fornire energia alle macchine di produzione, scurisce il cielo delle città, che assume una colorazione sempre più grigia, mentre l’aria inizia a diventare maleodorante e carica di veleni ed i raggi solari con difficoltà penetrano la densa coltre di fumo.
I primi a pagare le conseguenze di tutto ciò furono proprio gli operai: patologie polmonari come la tisi si diffusero tra il proletariato, che spesso soffriva anche di patologie muscoloscheletriche derivante dalla malnutrizione e dalle pesanti condizioni di lavoro in fabbrica.
All’interno di Crespi d’Adda le malattie del lavoro in fabbrica più frequenti non erano causate da fumi o veleni di fabbrica (a Crespi d’Adda veniva infatti sfruttata l’energia idroelettrica e non la combustione del carbone) ma spesso erano vere e proprie irritazioni delle vie aeree causate dal pulviscolo di cotone così diffuso nei reparti.
La presenza di un ampio giardino nella propria abitazione permetteva inoltre all’operaio di trascorrere almeno qualche ora all’aria aperta, badando al proprio orto.
L’occhio vigile del medico del villaggio non abbandonava mai l’operaio: l’ambulatorio attrezzato anche per le piccole operazioni chirurgiche d’emergenza rappresentava in certi casi la salvezza del lavoratore.
Foto: Archivio Storico Crespi d’Adda Legler