Archeologia Industriale
Charles Dickens descrisse questo periodo storico con enfasi ma, allo stesso tempo, con disincanto e paura. “Era l’epoca migliore di tutte, e peggiore di tutte, era l’epoca della saggezza e della follia, era l’epoca della fede, era l’epoca dell’incredulità; era la stagione della Luce e la stagione dell’Oscurità; era la Primavera della speranza e l’Inverno della disperazione; avevamo tutto davanti a noi, e nulla davanti a noi; andavamo direttamente verso il Cielo; insomma era così lontana dall’epoca presente, che alcune delle autorità più in vista insistevano nel qualificarla solo al superlativo, in bene o in male”.
Le testimonianze dell’industrializzazione, oggetto dell’Archeologia Industriale, sono certamente le più rappresentative della grande metamorfosi storica e culturale da cui ha avuto origine il mondo così come lo conosciamo oggi ed è indubbio che la loro tutela garantisce solidità alla memoria del nostro recente passato.
L’Archeolgia Industriale a Crespi d’Adda e nel mondo nasce dalla circostanza che le innovazioni tecnologiche, l’accelerato modello di produzione e le mutazioni geopolitiche trasformano rapidamente in reperti fossili degli organi che erano vibranti e vivi come impianti, fabbriche, stazioni e centrali elettriche.
Non è la storia a creare la materia prima di questa disciplina. È l’obsolescenza a farlo. non è il tempo ma il progresso. Il suo metro di giudizio non è estetico, ma economico.
Ecco allora che stabilimento, protagonista di cambiamenti che hanno travalicato i suoi muri, collo di bottiglia in cui sono precipitate tutte le esperienze di disciplinamento avviate con l’età moderna, rischia di diventare una grande parentesi della nostra storia se lo si considera solo uno scenario esausto e non uno strumento per conoscere l’uomo che, all’interno di esso, ha consumato la sua esistenza.
Il romanzo di fabbrica è un racconto straordinario. Ne sono protagonisti uomini separati dalla lotta di classe, dal profitto e dal salario, ma uniti dalla consapevolezza che il loro destino dipendeva dal successo di una partita giocata bene insieme.
Sotto questo aspetto è estremamente interessante l’analisi di quel che resta del costruito industriale, spesso disordinatamente diffuso nel territorio, come testimonianza della vita che ne pulsava all’interno e ciò è ancora più manifesto nelle città operaie dove casa e lavoro convissero fino al momento in cui non riuscirono più a produrre valore e che restano, oggi, rovine viventi.