Il villaggio operaio moderno
Descrivere cosa è il villaggio operaio di Crespi d’Adda è complesso.
Nella riflessione storica sul rapporto tra industrializzazione e sviluppo urbano, il villaggio operaio è quell’insediamento fondato da un singolo imprenditore con l’intento di raccogliere, all’interno di un ipotetico recinto, la propria fabbrica, le abitazioni e i servizi per la vita quotidiana dei lavoratori. Si tratta prevalentemente di insediamenti realizzati in aree extraurbane, relativamente autonomi, edificati in funzione del nucleo produttivo costituito dalla fabbrica e dagli stabilimenti, risolvendo così le esigenze residenziali degli operai in essa impiegati.
La pratica di costruire nelle adiacenze degli stabilimenti singole case, quartieri o addirittura villaggi, si diffuse in Italia dall’esempio di modelli inglesi e francesi negli ultimi tre decenni dell’Ottocento, in concomitanza con il decollo industriale della nazione: e certo non fu una esperienza isolata. La maggior parte di questi interventi hanno un comune denominatore: la visione della fabbrica come una grande famiglia guidata con forza e responsabilità da una figura paternalistica, l’autoritario imprenditore sempre attento alle esigenze dei suoi figli operai in un clima di costante sottomissione e forzata ubbidienza.
Il primo nome italiano che viene alla mente parlando di paternalismo industriale è quello del vicentino Alessandro Rossi, autentico portabandiera dell’industrialismo nazionale. Nato da una famiglia di imprenditori lanieri, impresse al suo stabilimento di Schio una fortissima spinta verso l’innovazione introducendo macchinari moderni e caldaie a vapore. Già intorno al 1880, la sua poteva essere considerata una tra le aziende più avanzate di tutto il nostro paese. Fece edificare un villaggio modello denominato la “Nuova Schio”, dove è ancora possibile passeggiare nella piacevole alternanza di villini per i dirigenti, casette singole o bifamiliari per gli impiegati e abitazioni a schiera per gli operai, il tutto contornato da giardini e strutture di servizio.
Molto simile è l’esperienza della Borgata Leumann, complesso edilizio realizzato tra il 1892 e il 1914 dall’architetto piemontese Pietro Fenoglio su precisa indicazione dell’illuminato imprenditore svizzero Carlo Giovanni Napoleone Leumann. Su di una superficie triangolare di sessantamila metri quadrati, questi edificò una città sociale che si sviluppa attorno al preesistente opificio il cui ingresso è spiccatamente identificato da due torrette di chiaro stile liberty. Adiacente allo stabilimento, un dedalo di stradine consente al visitatore di osservare i quarantadue villini e gli edifici destinati ai servizi.
Sorprenderà forse il lettore che, nel 1789 ossia molto prima delle esperienze settentrionali, poco lontano da Caserta, re Ferdinando IV di Borbone fece edificare la “colonia opificium Leucianorum” per la tessitura e la colorazione delle sete filate. Progettata dall’architetto Francesco Collecini, avrebbe dovuto essere la prima città industriale italiana e chiamarsi Ferdinandopoli. La reale colonia venne disciplinata da leggi e regolamenti speciali. Il villaggio e lo stabilimento vennero chiusi nel 1843.
In questa carrellata nazionale, non può essere esclusa la fabbrica della società belga Solvay che fu istituita, ai piedi del colle di Rosignano Marittimo, nel 1913. Intorno allo stabilimento la società diede vita ad un villaggio operaio, organizzando uno spazio urbano di chiara ascendenza nord-europea che, con le molte aree verdi e la razionalità dell’impianto, rispondeva alla teorizzazione della città-giardino.
Il contesto internazionale è anch’esso fecondo di esperienze simili che ricalcano consuetudini tipiche di questo fenomeno.
Nell’ottica di una architettura carica di significazioni e misticismo, non è affatto inusuale la circostanza che il progetto scelto nel 1871 per la fonderia reale di Luigi XVI a Le Creusot, nel territorio sudorientale della Francia, fosse del tutto simile a quello di una tenuta nobiliare della fine del Seicento.
Tra i progetti più ambiziosi realizzati in Francia meritano sicuramente di essere ricordate anche le saline reali di Claude-Nicolas Ledoux ad Arc-et-Senans, realizzate nel 1778. Il loro progetto neoclassico, con i suoi richiami riccamente manieristici, consisteva in dieci edifici principali costruiti a mezzaluna aperta in pietra e mattone. Al centro si posizionava la casa del direttore, chiave di volta di tutta la planimetria della struttura.
La Gran Bretagna fu la terra più fertile allo sviluppo di idee e concezioni rivoluzionarie.
La New Lanark Twist Company era situata in una sperduta valle del Strathclyde. Non appena Robert Owen, divenuto genero e socio di David Dale, ci venne catapultato nel 1799, cominciò a declinare le sue idee progressiste sulla gestione della fabbrica, cristallizzate poi nel testo “A New View of Society”. L’ammessa ingiustizia del sistema produttivo gli ispirò l’immediato divieto di impiegare in fabbrica bambini indigenti e innalzò l’istruzione ad asse portante del suo castello di idee. Ai ragazzi veniva offerta una scolarizzazione a tempo pieno fino all’età di dieci anni, al termine dei quali venivano incoraggiati a proseguire gli studi con i corsi serali. Per favorire i genitori, ridusse l’orario di lavoro sottoponendo la produzione a strumenti di controllo della resa operaia individuale.
Titus Salt, fondatore di Saltaire, si prefiggeva traguardi più modesti ma era profondamente convinto che fosse compito degli industriali “rendere tutte le mansioni coinvolte nella produzione, o nel trasporto, di massimo beneficio per gli uomini impiegati”.
Era perfettamente consapevole che le famiglie di operai che vivevano in case decenti, con servizi come bagni pubblici o casse di risparmio a loro disposizione, costituivano una manodopera più stabile, con grande giovamento della produttività e degli affari.