La storia e gli edifici
Storia di Crespi d’Adda
Nato nel 1876 su di un territorio fino ad allora incolto in prossimità del fiume, l’esperimento totale crespese durò cinquant’anni ed ebbe inesorabilmente termine nel 1929. Oggi la fabbrica non è più in funzione mentre l’abitato ospita una comunità in gran parte discendente di coloro che vi vissero o lavorarono.
Nell’osservare l’abitato, non lasciatevi convincere dall’immediata impressione di trovarvi di fronte alla mediocre uniformità di un modello architettonico instancabilmente ripetuto ma cercate di cogliere il senso, l’idea, il valore di ciò che vi circonda, di quel progetto totale che investì questo territorio e di cui l’architettura doveva essere la via maestra della sua trasformazione.
A chi legge chiediamo di non accettare la banalità della sua forma. Il ruolo di Crespi d’Adda non può essere ridotto all’inutile compito di esibire l’ovvio, ma al più complesso scopo di utilizzare il territorio, la città, l’architettura come mezzi di riflessione, di meditazione e di esplorazione.
Potrete rimanere colpiti dalla circostanza per cui a questo luogo manchi l’impronta che le altre città ricevono dal lento apporto dei secoli, dalle vestigia di tante generazioni ma ciò è dovuto alla semplice circostanza che il villaggio sorse, si sviluppò e iniziò il suo declino, nel breve volgere di una mezzo secolo.
Nelle prossime righe si cercherà di fornire alcune essenziali indicazioni sulle funzioni delle costruzioni presenti nel villaggio operaio al fine di essere una utile guida per spiegare il mondo, la gente, le idee e l’impalpabile vita che abitava Crespi d’Adda.
Ci si può facilmente accorgere che il villaggio si intravede proprio quando ci si cala nel vero e proprio senso fisico della parola, come se il buio e l’oblio si fossero preoccupati di conservare certe testimonianze con l’occulto scopo di riportarle alla luce al momento opportuno.
Scendendo il declivio che al villaggio conduce ecco, all’orizzonte, apparire prima una, poi due ciminiere, sentinelle d’argilla a custodia del sogno, poi la guglia della chiesa che ci ricorda come lo spirito alberghi sempre nei luoghi dove la carne ha sofferto e, infine, il rosso tappeto del cotto che copre le sommità visibili degli edifici della fabbrica.
Risalendo per questa strada e volgendo lo sguardo verso destra, si intuiscono, tra le rade fronde di robinie e betulle, il silenzioso dialogo dei tetti in lontananza e la particolare costruzione della Villa Padronale con la sua goticheggiante forma di castello medievale.
Dopo pochi passi, il visitatore giungerà in prossimità di due ville, divise e legate da una cancellata in ferro attraverso cui si apre una quasi completa panoramica dell’abitato, un tempo abitate dal medico e dal cappellano.
Da qui il villaggio operaio si trova, quasi tutto riassunto, nei nostri occhi.
Decine di case operaie a pianta quadrata, incoronate da orti e circondate da staccionate, che se ne stanno in fila come gli spettatori in un anfiteatro affacciato sulla fabbrica, protagonista assoluta della scena. Più in là, in lontananza si possono intravedere le case dei capireparto e le ville dei dirigenti.
La fisionomia della città immaginata da Cristoforo e, poi, dal figlio Silvio è immediata. Del resto l’arte del tessere teli è simbolo e metafora del fabbricare stesso.
Apparirà subito evidente l’ordinata planimetria che regola i rapporti tra gli edifici, le strade e il territorio, che rivela, già nelle premesse progettuali, la filigrana sottilmente specifica della poetica architettonica del villaggio.
Questo risulta, infatti, suddiviso in modo ordinato in tre parti che sono separate da due strade che seguono la direttrice che da nord conduce a sud.
La divisione è netta tra la zona residenziale, disposta in regolari linee rette parallele nella parte orientale, la zona di pubblica utilità, dove si dispongono gli edifici di interesse pubblico e la zona industriale, dove ciò che resta dell’originario “Cotonificio Crespi” è steso immobile nella parte più a ovest della cittadina.
Tale divisione, frutto di una cultura urbanistica anglosassone, è funzionale alle attività che si svolgevano all’interno del paese. Una parte, quella più vicina al lettore, è destinata ad accogliere le residenze di coloro che erano impiegati nella fabbrica. La parte centrale dedicata alle funzioni pubbliche e agli edifici comuni come il lavatoio, il dopolavoro, l’albergo, la chiesa, il teatro e le scuole e, più avanti, anche se non immediatamente visibili, il piccolo ospedale, il centro termico, i bagni pubblici, la caserma dei vigili del fuoco e, distanziato, alla fine del paese, il cimitero. L’ultima parte, quella più a ovest, destinata alla attività lavorativa, con la fabbrica, la villa padronale e i palazzotti, cinte tra la strada principale e il fiume Adda di cui si intravede solo la valle.
Approfondimenti disponibili:
- “Il villaggio di Crespi d’Adda” – Eco di Bergamo
- “Cinquantesimo di fondazione del villaggio” – Eco di Bergamo
- “Un villaggio da fiaba” – Eco di Bergamo
- “Il villaggio riscoperto” – Eco di Bergamo